martedì 26 dicembre 2017

NATALE: VIVERE CON SOBRIETÀ, GIUSTIZIA E PIETÀ

Carissimi, è sempre motivo di festa il ritrovarsi, da fratelli nella fede, alla messa di Mezzanotte del Natale. Oltre tutto questa partecipazione segnala per alcuni un dato che in ogni caso è positivo: il lume di fede trasmessa in famiglia ha ancora almeno un po’ di olio nella lampada del cuore. Non posso che esserne contento. A tutti pertanto un fraterno saluto e un affettuoso abbraccio di benvenuto.

In questa circostanza, tra le più suggestive dell’anno liturgico, potremmo sostare su parecchi nuclei di riflessione spirituale ispirati al Mistero del Natale cristiano. Ci bastino tre parole desunte dal testo, di una straordinaria densità di contenuti, praticamente inesauribili, della lettera a Tito proclamato nella seconda lettura: “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo” (Tt 2, 11-12). Ecco dunque i tre termini: sobrietà, giustizia e pietà! Quale attinenza hanno con il mistero del Natale? In esso trovano il loro humus più vero e fecondo.

Anzitutto la sobrietà. Che non va confusa con miseria. Sobrietà sta per saggezza nell’uso di mezzi a nostra disposizione, mai considerati come fine a se stessi. Quelli che servono, nella loro essenzialità, ad evidenziare la dignità della persona umana che non si identifica con le cose possedute. Un meschino non diventa un grande perché può far conto su una sua favolosa fortuna e prosperità economica. Mentre una grande personalità resta grande anche se vive in un contesto di estrema sobrietà.

Per comprenderne maggiormente il senso e il valore, guardiamo a Gesù. Egli entra sulla scena della storia imperiale, tutta sfarzo e ostentazione, venendo alla luce nella sobrietà inedita dell’angolo più riposto di una abitazione riservato agli animali domestici. Viene avvolto,come annota Luca, da panni preparati con amorevole cura dalla giovane madre, Maria. Deposto in una mangiatoia. L’essenziale dunque per dirsi accolto e non rifiutato. Ma non gli manca affatto ciò che di più essenziale vi è nella vita di una persona, di cui ha necessità vitale: l’amore tenerissimo di sua madre, le premure di Giuseppe, l’affetto dei pastori. Successivamente, per tutti i trent’anni di vita trascorsi a Nazareth Gesù ha dato testimonianza di quella sobrietà che non lo faceva sfigurare e nemmeno evidenziare fra tutti, ma lo collocava tra gli abitanti normali del villaggio, individuato come era nella sua qualifica di figlio del falegname (cfr Mt 13, 55). La sua vita pubblica poi, interamente dedicata alla missione affidatagli dal Padre, era talmente libera dai condizionamenti delle cose che non aveva neppure una dimora fissa: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 58). Morirà su una nuda croce. Pura essenzialità di amore.

Carissimi, è vero che la tendenza più diffusa è quella di rincorrere uno stile e un tenore di vita che mira a non privarsi di nulla, ma ad appagare tutti i desideri e persino le fantasticherie, vivendo al di sopra delle righe e oltre un livello da buon senso. Arrivano però all’improvviso i momenti di crisi economica e ci si trova impreparati. Si protesta, ma poi, magari a fatica e a denti stretti, ci si rassegna a vivere secondo la logica della sobrietà, visto che non si può fare diversamente, pur non cedendo in tutto su alcuni fronti, come quelli del divertimento e delle convenienze sociali. Certo non può non lasciare amareggiati e sconsolati il fatto che non pochi continuano a vivere nell’ostentazione del superfluo, che, nonostante i tempi, possono permettersi. In ogni caso, crisi o non crisi, possibilità di permettersi o non permettersi, per una persona da buon senso e tanto più per un cristiano la sobrietà non è l’effetto subito di un castigo collettivo fatto piombare addosso da una piovra internazionale, ma è frutto di una scelta di libertà interiore e di sensibilità verso chi non ha a disposizione neppure ciò che è necessario per una vita degna dell’uomo.

La sobrietà, in altri termini, fa parte del paniere dei valori, delle virtuosità. Essere capaci di non lasciarsi condizionare dalle cose possedute, specialmente se effimere, è ricchezza interiore. E il saper far dono di propri beni, riportandosi nei parametri di una dignitosa sobrietà, a chi si trova in grave disagio e in forte difficoltà, è segno di un animo nobile. Che non si impoverisce al punto da ridursi in miseria, ma che sente come atto di giustizia la solidarietà sociale. Detto in altre parole, sobrio è chi ha il senso della moderazione, che lo fa non eccedere, né nell’accumulo idolatra né nel dispendio dissennato, e lo carica del senso del dovere di contribuire, per quanto di sua competenza, al bene comune. Proprio come segno di corresponsabilità e atto di giustizia.

Qualche cenno dunque alla virtù della giustizia, anzitutto come è stata praticata da Gesù. In effetti tutto il suo agire è stato giusto, cioè conforme a quanto si attendeva da Lui il Padre, di cui ha sempre compiuto la volontà (cfr Gv 4, 34). Il Vangelo e gli Atti degli apostoli lo evidenziano come un uomo giusto. Due citazioni per tutte: “veramente quest’uomo era giusto” (Lc 23, 47), proclama il centurione nel constarne il modo di morire. Pietro poi, all’indomani della risurrezione, per smuovere i connazionali alla conversione, così li rimprovererà: “avete rinnegato il Santo e il Giusto” (At 3, 14). Gesù si è comportato da giusto e, al dire di S. Paolo, con il suo mistero pasquale rende giusti i peccatori, facendoli partecipi del suo essere giusto.

Certo il tema della giustizia sarebbe da solo capace di far scattare forti animosità da parte di chi subisce ingiustizia, oltre il limite della sopportabilità. Ci domandiamo in che modo siamo noi stessi interpellati dal mistero del Natale ad essere protagonisti di giustizia. Mi pare si possano evidenziare due tratti, fra i tanti. Anzitutto è giusto chi ha il senso delle proprie responsabilità nell’ambito sociale e occupazionale, in cui agisce al meglio di sé, senza mai approfittare delle situazioni favorevoli, magari alquanto equivoche. In secondo luogo è giusto colui che nel suo agire lascia sempre un margine alla gratuità, come sottolinea papa Benedetto nell’enciclica Caritas in veritate. Effettivamente, chi ha maturato dentro di sé il senso della gratuità si dispone con naturalezza a far dono di sé a chiunque si trovi nello stato di bisogno, di qualsiasi natura, rispondendo al grido di giustizia che sale da chiunque se ne sente depauperato. Ha cioè il senso del volontariato genuino e arioso. Dà sempre qualche cosa di sé e dei suoi beni, a partire dal suo tempo e dalle sue competenze. Evidentemente ritiene atto di stridente e palese ingiustizia ogni forma di spreco e perciò si impegna nella testimonianza personale e cerca di educare i familiari a quel senso di sobrietà, in vista della solidarietà, che è la forma più al naturale della giustizia.

Infine il mistero del Natale ci richiama il grande mistero della pietà di Dio (cfr 1 Tm 3, 16) verso ogni persona umana, in Gesù Cristo. Essa corrisponde alla sua infinita e divina benevolenza, al suo Amore per l’uomo. Gesù è il volto umano della pietà di Dio, della sua compassione per l’uomo; è la pietà di Dio nella sua fonte di misericordia mediata umanamente. Destinatario di tale pietà di Dio è l’uomo. Di tutti i tempi. Di qualsiasi condizione. Purché disponibile a lasciarsene raggiungere. Nelle profondità del suo essere. Come a dire che si lascia salvare dalla compassione misericordiosa di Dio che, sola, gli assicura la pace del cuore. Si tratta dell’uomo pio, timorato di Dio, nel senso che venera Dio nella sua grandezza, e lo riconosce come tale in atteggiamento adorante. Nello stesso tempo accetta di entrare nel circuito della pietà, cioè della compassione benevola divina per farsene testimone presso coloro che hanno bisogno di compassione benevola. Questa osservazione serve a chiarire eventuali ambiguità circa il Natale cristiano. Esso non va considerato come un mito che ci astrae, almeno per un giorno, dalla storia. Al contrario, ci immerge nella storia, secondo la logica dell’Incarnazione.

Concludendo, possiamo affermare che il Natale non induce a pii sentimenti, ma alla pietà attiva, tradotta in comportamenti, come conseguenza ed effetto della sobrietà e della giustizia. Sicché il Natale liturgico documenta la sua verità nell’incidenza che mostra di avere nella vita della ferialità, il vero banco di prova dell’autenticità dell’essere cristiani che credono nel mistero dell’incarnazione, cioè nel Natale.A tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari che portate in cuore, specialmente se ammalati o acciaccati nel corpo o nello spirito, Buon Natale

Tratto dalle omelie de vescovo della Diocesi di Verona, anno 2009 




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