venerdì 14 aprile 2017

PADRE, NELLE TUE MANI CONSEGNO IL MIO SPIRITO


Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». (Lc 23, 44-46a)



Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” (Lc 23, 46). Con queste parole Luca esplicita il contenuto del secondo grido che Gesù emise poco prima di morire (cf. Mc 13, 37; Mt 27, 50). Nel primo grido egli aveva esclamato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34; Mt 27, 46). Queste parole sono completate da quelle altre, che costituiscono il frutto di una riflessione interiore maturata in preghiera. Se per un momento Gesù ha avuto e sofferto la tremenda sensazione di essere abbandonato dal Padre, ora la sua anima reagisce nell’unico modo che, come egli sa bene, si conviene a un uomo, che al tempo stesso è anche il “Figlio prediletto” di Dio: il totale abbandono nelle sue mani.

Gesù esprime questo suo sentimento con parole che appartengono al salmo 31-30: il salmo dell’afflitto che prevede la sua liberazione e ringrazia Dio che sta per operarla: “Mi affido alle tue mani: tu mi riscatti, Signore, Dio fedele” (Sal 31 [30], 6). Gesù nella sua lucida agonia, sta ricordando e balbettando anche qualche versetto di quel salmo, recitato spesse volte durante la sua vita. Ma, stando alla narrazione dell’evangelista, quelle parole sulla bocca di Gesù prendono un valore nuovo.

Con l’invocazione “Padre” (“Abbà”), Gesù dà al suo abbandono tra le mani del Padre un accento di fiducia filiale. Gesù muore da figlio. Muore in perfetta conformità al volere del Padre, per la finalità di amore che il Padre gli ha affidato e che il Figlio ben conosce.

Le parole e le grida di Gesù sulla croce, per essere comprese, devono essere considerate in rapporto a ciò che egli stesso aveva annunciato in precedenza, nelle predizioni della sua morte e nell’insegnamento sul destino dell’uomo in una nuova vita. Per tutti la morte è un passaggio all’esistenza nell’aldilà; per Gesù è, anzi, la premessa della risurrezione che avverrà il terzo giorno. La morte, dunque, ha sempre un carattere di dissoluzione del composto umano, che suscita ripulsa: ma dopo il primo grido, Gesù con grande serenità rimette il suo spirito nelle mani del Padre, in vista della nuova vita e anzi della risurrezione da morte, che segnerà il coronamento del mistero pasquale. Così, dopo tutti i tormenti delle sofferenze fisiche e morali subite, la morte è abbracciata da Gesù come un ingresso nella pace inalterabile di quel “seno del Padre”, verso il quale è stata rivolta tutta la sua vita.

Con la sua morte Gesù rivela che alla fine della vita l’uomo non è votato all’immersione nell’oscurita, nel vuoto esistenziale, nella voragine del nulla, ma è invitato all’incontro col Padre, verso il quale si è mosso nel cammino della fede e dell’amore in vita, e nelle cui braccia si è gettato con santo abbandono nell’ora della morte. Un abbandono che, come quello di Gesù, comporta il dono totale di sé da parte di un’anima che accetta di essere spogliata del suo corpo e della vita terrestre, ma che sa di trovare nelle braccia, nel cuore del Padre la nuova vita, partecipazione alla vita stessa di Dio nel mistero trinitario.
san Giovanni Paolo II, papa
7 dicembre 1988 Udienza Generale
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