venerdì 10 marzo 2017

PADRE, PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO


Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. (Lc 23,33-38)


La prima scoperta che facciamo rileggendo le parole che Gesù pronunciò sulla croce, è che si trova in esse un messaggio di perdono. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34): secondo la narrazione di Luca, questa è la prima parola pronunciata da Gesù sulla croce. 

Chiediamoci subito: 
non è forse la parola che avevamo bisogno di sentir pronunciare su di noi?

Ma in quelle condizioni di ambiente, dopo quegli avvenimenti, dinanzi a quegli uomini rei di averne chiesto la condanna e di avere tanto infierito contro di lui, chi avrebbe immaginato che quella parola sarebbe uscita dalle labbra di Gesù? Eppure il Vangelo ci dà questa certezza: dall’alto della croce è risonata la parola “PERDONO”!

Gesù non solo perdona, ma chiede il perdono del Padre per coloro che lo hanno messo a morte, e quindi anche per noi tutti. È il segno della sincerità totale del perdono di Cristo e dell’amore da cui deriva. È un fatto nuovo nella storia, anche in quella dell’alleanza. Nell’antico testamento leggiamo tanti testi dei salmisti che avevano chiesto la vendetta o il castigo del Signore per i loro nemici: testi che nella preghiera cristiana, anche liturgica, si ripetono non senza sentire il bisogno di interpretarli adeguandoli all’insegnamento e all’esempio di Gesù, che ha amato anche i nemici. Lo stesso può dirsi di certe espressioni del profeta Geremia (Ger 11, 20; 20, 12; 15, 15), e dei martiri giudei nel libro dei Maccabei (cf. 2 Mac 7, 9. 14. 17. 19). Gesù ribalta quella posizione al cospetto di Dio e pronuncia tutt’altre parole. Egli aveva ricordato a chi gli rimproverava la sua frequentazione dei “peccatori”, che già nell’antico testamento, secondo la parola ispirata, Dio “vuole misericordia” (cf. Mt 9, 13).

Si noti inoltre che Gesù perdona immediatamente, anche se l’ostilità degli avversari continua a manifestarsi. Il perdono è la sua sola risposta alla loro ostilità. E il suo perdono è rivolto a tutti coloro che, umanamente parlando, sono responsabili della sua morte, non soltanto agli esecutori, i soldati, ma a tutti coloro, vicini e lontani, palesi e nascosti, che sono all’origine del procedimento che ha portato alla sua condanna e alla sua crocifissione. Per tutti loro chiede perdono e così li difende davanti al Padre, sicché l’apostolo Giovanni, dopo aver raccomandato ai cristiani di non peccare, può aggiungere: “Ma se qualcuno pecca, noi abbiamo come intercessore presso il Padre Gesù Cristo, il giusto. Egli è la propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2, 1-2). In questa linea è anche l’apostolo Pietro, il quale, nel discorso al popolo di Gerusalemme, estende a tutti la scusa dell’“ignoranza” (At 3, 17; cf. At 23, 34) e l’offerta del perdono (At 3, 19). È consolante per noi tutti sapere che secondo la lettera agli Ebrei Cristo crocifisso, eterno sacerdote, rimane per sempre colui che intercede in favore dei peccatori che mediante lui si avvicinano a Dio (cf. Eb 7, 25).

Questo perdono dalla croce è l’immagine e il principio di quel perdono, che Cristo vuole portare a tutta l’umanità mediante il suo sacrificio. Per meritare questo perdono e, in positivo, la grazia che purifica e dà la vita divina, Gesù, ha fatto l’offerta eroica di se stesso per tutta l’umanità. Tutti gli uomini, ciascuno nella concretezza del suo io, del suo bene e del suo male, sono dunque compresi potenzialmente e, anzi, si direbbe intenzionalmente nella preghiera di Gesù al Padre: “Perdona loro”. Anche per noi vale certamente quella richiesta di clemenza, e quasi di comprensione celeste: “perché non sanno quello che fanno”. Forse nessun peccatore sfugge del tutto a quell’assenza di conoscenza e quindi al raggio di quella implorazione di perdono che emana dal cuore tenerissimo del Cristo morente sulla croce. Questo, tuttavia, non deve spingere nessuno a prendersi gioco della ricchezza di bontà, di tolleranza e di pazienza di Dio, fino a non riconoscere che tale bontà lo invita alla conversione (cf. Rm 2, 4). Con la durezza del suo cuore impenitente egli accumulerebbe collera su di sé per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (cf. Rm 2, 5). Eppure anche per lui il Cristo morente chiede al Padre perdono, fosse pur necessario un miracolo per la sua conversione. Nemmeno lui, infatti, sa quello che fa!

È interessante costatare che, già nell’ambito delle prime comunità cristiane, il messaggio del perdono è stato accolto e seguito dai primi martiri della fede, che hanno ripetuto la preghiera di Gesù al Padre quasi con le stesse sue parole. Così fece il protomartire santo Stefano, il quale, secondo gli Atti degli Apostoli, al momento della sua morte chiese: “Signore, non imputare loro questo peccato” (At 7, 60)

san Giovanni Paolo II, papa
16 novembre 1988 Udienza Generale 

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