Negli Orientamenti pastorali della CEI per il decennio 2010 – 2020 “Educare alla vita buona del Vangelo” emerge, come centrale nel rapporto educativo, l’urgenza di generare alla relazione personale “profonda e stabile con Gesù”, ben espressa dal verbo «dimorare » che significa trovare nell’incontro con il divino Maestro quella “stabilità, progettualità coraggiosa, impegno duraturo” (3,25) senza i quali sarebbe impossibile educare.
E-ducere, infatti, significa tirar fuori il bene, il bello, il buono, il vero che Dio ha seminato in noi per farci maturare rendendoci persone capaci di essere in relazione con Dio, con gli altri e con noi stessi, ha detto Sr. Lorella Mattioli (terziaria della Beata Angelina) intervenuta agli incontri organizzati dalla Parrocchia S. Maria Goretti in Bologna e dalla Fraternità Francescana Frate Jacopa, su “Sobrietà, uno stile di vita”. Se noi genitori, catechisti, educatori (e siamo tutti educatori potenziali) rinunciamo ad educare e lasciamo campo libero all’autoeducazione e all’autoformazione, sarà inevitabile inquinare il nostro stile di vita improntandolo a una ricerca smodata di possesso. Possedere più cose possibili, fare più esperienze possibili, alla ricerca di emozioni sempre più forti ed estreme, porta inevitabilmente a lasciarsi possedere dalle cose stesse.
Oggi si desidera avere sempre di più e “si suppone che un benessere maggiore procuri una maggior felicità, che la possibilità di consumare sia indice evidente di riuscita nella vita” ha affermato p. José Antonio Merino (Pontificia Univiversità Antonianum, Roma). Ma nella scala della felicità non sono più felici coloro che più posseggono e più consumano. Il «malessere del benessere» è un dato evidente. Il messaggio di Gesù smaschera la tesi che il consumismo e il benessere siano le basi di una vera felicità.