L’onda di simpatia, suscitata da Papa Francesco nella Chiesa e nel mondo, è oggetto di valutazioni diverse, perfino di un “conflitto delle interpretazioni”, come mostra il recente dialogo a distanza fra Vittorio Messori e Liliana Cavani sulle pagine de Il Corriere della Sera. C’è chi coglie nel messaggio di questo Papa, e nell’entusiasmo che accende, i sintomi di una rinnovata primavera della fede; c’è chi vede emergere nostalgie ingenue e rischiose di pauperismo evangelico; c’è chi riconosce nel consenso che diversi manifestano i rigurgiti di un mai sopito “affetto antiromano”, pronto a identificare nel Vescovo di Roma, “venuto quasi dalla fine del mondo”, soprattutto il promotore di una riforma radicale della macchina curiale.
Personalmente mi sento in sintonia con chi legge nel pontificato di Francesco uno straordinario tempo di grazia e di speranza per tutti, in continuità con ciò che era stato preparato dalla riforma spirituale voluta da Benedetto XVI, anche se con caratteristiche differenti. Tre elementi mi sembrano entrare in gioco nel modo di essere e di agire di Jorge Mario Bergoglio - Papa Francesco, tali da fargli raggiungere ampiamente e in profondità il cuore di tutti: la sincerità, la semplicità e la sobrietà.
La sincerità di questo Gesuita argentino, divenuto Vescovo della Chiesa “che presiede nell’amore”, è per alcuni addirittura spiazzante: le sue dichiarazioni spontanee su temi delicati che riguardano la morale personale e sociale o il bisogno di riforma della Chiesa, non sono certamente frutto di calcolo interessato, e nemmeno di una strategia pastorale. Papa Francesco si mostra per quello che è e sempre è stato, senza star a misurare gli effetti di ciò che dice sul possibile ritorno d’immagine per sé o per la comunità cattolica.
Non per questo, però, il suo agire e i suoi pronunciamenti possono essere considerati avventati: chi come lui da una vita si esercita nella disciplina spirituale e nella meditazione della Parola di Dio e dei testi dei grandi Maestri della fede, non dice mai cose leggere o che non siano state a lungo “ruminate”, anche se sul momento possono apparire di sorprendente novità. La sincerità di Francesco è come la punta di un “iceberg”, che affiora rimandando a una profondità tutta da scandagliare. Così, ad esempio, la sua insistenza sullo sguardo di misericordia da avere verso tutti, anche e particolarmente verso chi è in situazioni problematiche rispetto alle norme canoniche o alla legge morale, non è che la traduzione del convincimento che lo sguardo di Dio si posa con tenerezza su queste persone e quello della Chiesa e dei suoi pastori non può né deve fare diversamente. Quel “chi sono io per giudicare?”, da lui pronunciato in varie occasioni, non indebolisce la legge morale, ma la propone nell’unica ottica secondo cui essa risulta vera, efficace e credibile alla luce del Vangelo: quella dell’amore e della compassione misericordiosa e umile. Proprio così, Francesco ci interpella tutti sulla nostra sincerità, invitandoci a fidarci della promessa di Gesù, di cui lui tanto si fida: “La verità vi farà liberi” (Giovanni 8,32). E questo bisogno di verità, a giudicare dall’attenzione che suscita questo Papa, è evidentemente ben più vasto di quanto possa apparire a molti.
Un secondo tratto che rende particolarmente amato il Papa argentino è la semplicità del suo modo di comunicare: la preferenza per il “parlare a braccio”, da lui tanto spesso dimostrata, non è semplicismo, ma espressione della volontà di raggiungere coloro cui si dirige in maniera al tempo stesso diretta, essenziale e profonda. “Cor ad cor loquitur”: questa massima, tanto cara al grande teologo e cardinale inglese John Henry Newman, esprime bene l’arco di fiamma che questo Papa riesce a stabilire fra sé e chi lo ascolta, facendo avvertire la vicinanza dei cuori nell’accoglienza e nell’ascolto reciproci. Peraltro, la semplicità unita alla profondità era anche un grande merito della comunicazione spirituale di Benedetto XVI: una volta ebbi modo di dire al Papa emerito quanto le Sue omelie, specie quelle fatte a braccio, fossero state capaci di raggiungere le menti e i cuori, unendo la verità e l’amore, la chiarezza e la profondità dei contenuti. La sua risposta fu al tempo stesso disarmante e rivelatrice della sua umiltà: “Parlando in una lingua non mia, non avevo alcun merito a essere semplice, perché usavo le uniche parole che conosco: quelle semplici!”. Per l’italiano di Francesco non è certo così, perché la nostra lingua è stata sua sin dall’infanzia (la lingua della Nonna!), insieme con l’amatissimo spagnolo “portegno”: il risultato, però, è analogo, perché - abituato da sempre a stare vicino ai poveri, spesso indifesi perché privi del prezioso possesso della parola - egli si è allenato a dire le cose grandi in modo umile e comprensibile a tutti. Va sottolineato che la semplicità comunicativa delle parole e dei gesti di Papa Francesco non avrebbe la forza che ha se non fosse abitata da quella sincerità e trasparenza di cui s’è detto prima: solo chi ama la verità e al tempo stesso ama la gente cui proporla è capace di coniugare i due amori in una comunicazione vera, illuminante e contagiosa. Proprio così, la semplicità di Bergoglio diventa un esempio e una scuola per tutti, specialmente per chi è abituato a parlare il “politichese”, capace di moltiplicare parole in maniera inversamente proporzionale ai contenuti di verità trasmessi…
Infine, a colpire tutti è la sobrietà di questo Papa: egli non solo non ha bisogno di grandi mezzi e di forme appariscenti, ma rifugge con convinzione da tutto ciò che sembra esaltare il potere secondo la logica di questo mondo, per privilegiare ciò che dice carità, prossimità e servizio. Se la decisione di vivere con altri a Santa Marta esprime per sua stessa ammissione il bisogno di fraternità condivisa, l’uso di auto semplici, di stili di comportamento “normali”, mette in luce la sua volontà di essere sentito come uno di noi, un compagno di strada e un fratello in umanità. Ciò nulla toglie al suo ruolo di paternità universale, ma dà a questo un tocco di accessibilità e di familiarità, che lo rende vicino al cuore di tanti. Più in generale, il suo desiderio di una Chiesa povera e amica dei poveri non è solo voce della storia ecclesiale di un intero continente, quello Latino-americano, dove il bisogno di giustizia sociale e di liberazione integrale della persona umana è vasto e profondo, ma è anche invito a tutti i fedeli a seguire e imitare il Figlio di Dio fatto uomo, che da ricco che era ha scelto di essere povero per dare a tutti la ricchezza della sua condizione divina. Anche la sobrietà è insomma un linguaggio, una via per farsi prossimo a tutti e abbattere le distanze che così facilmente le nostre paure creano verso chi ha responsabilità così grandi. E riscoprire la sobrietà è riserva preziosa in un tempo di crisi e di difficoltà economiche per tanti.
Papa Francesco ama essere il parroco del mondo, non per smania di originalità, ma per amore del suo popolo e in obbedienza allo stile di vita e di azione del Maestro e Signore cui ha consegnato il cuore e la vita, il Signore Gesù. Proprio così, ciò che fa e dice ha sapore di Vangelo e fa intuire il potere di trasformazione e di salvezza per tutti delle parole pronunciate e vissute in prima persona dal Nazareno: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Luca 6,20).
Articolo di Bruno Forte, tratto da Il Sole 24 ore
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