Fratelli, sorelle! Permettetemi di rivolgermi a tutti così, chiamandovi fratelli, sorelle, “parola tremante nella notte/ Foglia appena nata/ Nell'aria spasimante/ involontaria rivolta/ dell'uomo presente alla sua/ fragilità/ Fratelli (G. Ungaretti). Fratelli, sorelle: non è per pretendere una familiarità, piuttosto per offrire una intenzione di frequentazione quotidiana, di disponibilità ordinaria, di premurosa, discreta trepidazione per il destino di tutti. Fratelli, sorelle!
Riconosco qui convenuti i fedeli del popolo santo di Dio e so che molti seguono questo evento mediante radio e tv: ecco, la gente, la mia gente! Siete le pietre vive della Chiesa cattolica in questa terra benedetta da Dio, in questa diocesi ambrosiana, e in Chiese sorelle di altri paesi e continenti, uomini e donne, laici e consacrati, famiglie che portano le loro gioie e le loro ferite, i Cardinali che la nostra Chiesa ha l’onore di riconoscere come suoi, vescovi e preti. Permettetemi di rivolgermi a voi con questa parola tremante nella notte, fratelli, sorelle. Non che io intenda rinunciare alla mia responsabilità di esercitare in mezzo a voi un magistero, non che io intenda sottrarmi alle fatiche del governo. Piuttosto esprimo il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell’esser figli dell’unico Padre: “fratelli, sorelle!”. Desidero che si stabilisca tra noi un patto, condividere l’intenzione di essere disponibili all’accoglienza benevola, all’aiuto sollecito, alla comprensione, al perdono alla correzione fraterna, al franco confronto, alla collaborazione generosa, alla corresponsabilità lungimirante. Fratelli, sorelle!
Riconosco qui convenuto il Consiglio delle Chiese cristiana, ai fedeli delle altre Chiese e confessioni cristiane. Con franchezza mi rivolgo chiamandoli “fratelli, sorelle!”: ci unisce la fede in Cristo, ci uniscono secoli di storia condivisa, ci unisce la parola sofferta e profetica: cercate più quello che unisce che quello che divide. Perciò vi saluto: fratelli, sorelle! Certo la storia non è stato solo un cammino comune, è stata anche una vicenda di parole aspre, di ferite dolorose, di contrapposizioni sanguinose. Eppure lo Spirito di Dio ci anima a guardare avanti con intelligenza, con fiducia, con uno struggente desiderio che tutti noi discepoli inadeguati e maldestri del Signore Gesù possiamo realizzare il desiderio ultimo del nostro Signore e Maestro, che tutti siano uno, perché il mondo creda.
Mi rivolgo con umiltà e rispetto ai figli di Israele e saluto anche loro: Fratelli, sorelle! Abbiamo troppo ricevuto dalla fede, dalla preghiera, dalla sapienza del popolo ebraico, abbiamo troppo poco condiviso la vostra sofferenza nei secoli, abbiamo troppe cose comuni per precluderci un sogno di pace comune, il pellegrinaggio faticoso e lieto, tribolato e tenace verso la terra promessa e la preghiera quotidiana: venga il tuo regno!
Riconosco qui convenuti uomini e donne che pregano Dio secondo la fede islamica e altre tradizioni religiose che vivono qui tra noi e lavorano e sperano il bene, per sé e per le proprie famiglie. Anche a loro mi rivolgo con una parola che è invito, è promessa, è speranza di percorsi condivisi e benedetti da una presenza amica di Dio che rende più fermi i nostri propositi di bene. Saluto anche loro chiamandoli: Fratelli, sorelle!
Riconosco qui convenuti uomini e donne che ignorano o escludono Dio dall’orizzonte del pensiero e delle scelte e della visione del mondo. Sono qui presenti, forse per dovere, forse per curiosità, forse perché apprezzano le opere buone della Chiesa Ambrosiana e dei cattolici milanesi. Anche a loro mi rivolgo con il desiderio di un incontro, con la speranza di una intesa, con l’aspettativa di trovarci insieme in opere di bene per costruire una città dove convivere sia sereno, il futuro sia desiderabile, il pensiero non sia pigro o spaventato. Anche a loro mi rivolgo e li saluto: Fratelli, sorelle!
Vedo qui presenti il Sindaco, il Prefetto di Milano, il Presidente della Regione Lombardia, responsabili di tanti settori della società, autorità civili, militari, alle quali rivolgo il mio deferente saluto. Eppure anche a loro voglio rivolgermi allo stesso modo: fratelli, sorelle! Non intendo mancare di rispetto, ma mi preme dichiarare un’alleanza, un sentirci dalla stessa parte nel desiderio di servire la nostra gente e di essere attenti anzitutto a coloro che per malattia, anzianità, condizioni economiche, nazionalità, errori compiuti sono più tribolati in mezzo a noi. I nostri ambiti sono distinti, le nostre competenze diverse, anche i punti di vista non possono essere identici. Eppure lo spirito di servizio, la condivisione della passione civica, la fierezza dell’unica tradizione solidale, creativa, laboriosa milanese e lombarda sono un vincolo che mi permette di osare salutare così, in questo momento, anche le autorità presenti: fratelli, sorelle!
Fratelli, sorelle, ho già detto tutto quello che mi sta a cuore in questo momento. Mi basterebbe che questo ingresso fosse celebrato come un gesto fraterno e che questo nostro riconoscerci segnasse il desiderio e l’impegno di uno stile di vita, di una consuetudine a riconoscerci in una fraternità sciolta, semplice, operosa e fiduciosa. Ma immagino però che siate incuriositi e vi domandiate che cosa io abbia da dire a questa santa Chiesa cattolica e ambrosiana, forse vi domandate quale sia il mio programma pastorale, forse vi domandate quale sia il mio messaggio per la Città di Milano e le terre di Lombardia.
Quanto alla Chiesa Ambrosiana io in questo momento non posso dire se non una immensa gratitudine per quello che è e per quello che io ho ricevuto, grazie a tutti, grazie per tutto! Il pensiero grato va a tutti i vescovi ambrosiani che mi hanno preceduto e a tutta la storia di santità che hanno scritto nei secoli, anche se un sentimento di particolare affetto e gratitudine devo esprimere per i vescovi che ho conosciuto e che hanno segnato il mio percorso, il cardinale Giovanni Colombo che mi ha ordinato prete, il cardinale Carlo Maria Martini che mi ha affidato la responsabilità del Seminario, il cardinale Dionigi Tettamanzi che mi ha chiamato ad essere suo vicario di zona e mi ha ordinato vescovo, il cardinale Angelo Scola che mi ha chiamato all’incarico di vicario generale e che mi ha trasmesso le consegne con tanta delicatezza e premurosa attenzione. Una parola di speciale gratitudine devo riservare al clero ambrosiano, ai preti e ai diaconi: a loro ho dedicato fino ad ora gran parte del mio ministero, ho buoni motivi per nutrire grande stima e riconoscenza per ciascuno, ho la certezza di poter contare su tutti loro, sulla loro fraterna vicinanza, sulla loro obbedienza, sulla loro partecipazione corresponsabile al governo della diocesi, sulla loro correzione e comprensione per le mie prevedibili inadeguatezze.
Non ho altro programma pastorale che quello di continuare nel solco segnato con tanta intelligenza e fatica da coloro che mi hanno preceduto in questo servizio, con l’intenzione di essere fedele solo al mandato del Signore, in comunione, affettuosa, coraggiosa, grata, con il santo Padre, Papa Francesco che mi ha chiamato a questo compito e che ispira il mio ministero.
Non ho altro desiderio che di incoraggiare il cammino intrapreso da coloro che mi hanno preceduto, in particolare possiamo fare memoria della responsabilità missionaria che ha caratterizzato il magistero dei Vescovi degli ultimi decenni, proprio a sessant’anni dalla conclusione della Missione di Milano indetta e vissuta da Giovanni Battista Montini nel 1957.
Solo vorrei invitarvi ad alzare lo sguardo, ad accogliere l’invito di uno dei sette angeli… “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello” (Apc 21,9). Vi invito a guardare la Chiesa e l’umanità in una contemplazione più pura, più penetrante, meno preoccupata di quello che dobbiamo fare e più disponibile a riconoscere l’opera di Dio e la dedizione dell’Agnello a rendere bella la sua sposa, come una sposa adorna per il suo sposo (Apc 21,2)
Pertanto, in questo momento così solenne ed emozionante io voglio dire solo una parola che ritengo essenziale, necessaria, incoraggiante e benedetta. Voglio confermare la profezia stupefatta di Isaia: tutta la terra è piena della sua gloria. Voglio confermare l’inno di lode che si canta in ogni liturgia eucaristica: Santo, santo, santo, i cieli e la terra sono pieni della tua gloria! Voglio condividere l’inno del Te Deum: pleni sunt caeli et terra maiestatis gloriae tuae.
La proclamazione può suonare una espressione di euforia stonata nel nostro contesto contemporaneo incline più al lamento che all’esultanza, che ritiene il malumore e il pessimismo più realistici dell’entusiasmo, che ascolta e diffonde con maggior interesse le brutte notizie e condanna come noiosa retorica il racconto delle opere di Dio e del bene che si compie ogni giorno sulla faccia della terra. Ma il pensiero scettico e una specie di insofferenza nei confronti della rivelazione nascono forse da un malinteso. Infatti: che cosa si deve intendere per “gloria di Dio”, secondo la rivelazione cristiana?
La gloria di Dio non è una sorta di irruzione trionfalistica. Chi si aspetta questa manifestazione della gloria di Dio, volgendo lo sguardo sulla desolazione della terra dichiara impossibile pensare che la terra sia piena della gloria di Dio: la vede piuttosto piena di lacrime e rovine, di ingiustizie e di idiozie.
Eppure io vi annuncio e testimonio che la terra è piena della gloria di Dio. Che significa gloria di Dio? Significa manifestazione dell’amore, tenacia dell’amore, ostinazione dell’amore di Dio che nel suo Figlio Gesù rivela fin dove giunge la sua intenzione di rendere ogni uomo e ogni donna partecipe della sua vita e della sua gioia.
Ecco che cos’è la gloria di Dio: è l’amore che si manifesta. Perciò io sono venuto ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio. Non c’è nessun luogo della terra, non c’è nessun tempo della storia, non c’è nessuna casa e nessuna strada dove non ci sia l’amore di Dio. La gloria di Dio riempie la terra perché ogni essere vivente è amato da Dio.
Forse c’è chi può dire: è impossibile! Io non valgo niente! Ma io ti dico che tu sei prezioso per Dio e Dio ti ama e avvolge la tua vita della sua gloria, del suo amore eterno e infinito.
Forse c’è chi pensa: io sono troppo triste, troppo desolato, troppo depresso. Non vedo luce, non aspetto niente di buono dalla vita. Ma io ti dico che Dio è vita, che la gioia di Dio è anche per te, che alla festa di Dio sei invitato anche tu e Dio continua ad avvolgere la tua vita della sua gloria, della sua luce!
Forse c’è chi pensa: è impossibile: io sono cattivo, io ho fatto del male, io non riesco io non voglio rinunciare ai miei vizi, io merito solo castighi e condanne. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore misericordioso.
Forse c’è chi pensa: è impossibile: io mi sono ribellato a Dio, io sono arrabbiato con Dio, io ho insultato Dio, io mi sono dimenticato di Dio. Ma io ti dico che Dio non è arrabbiato con te, Dio continua ad amarti e ad avvolgerti della sua gloria, del suo amore paziente e discreto.
Forse c’è chi pensa: io non credo in Dio, io non so che farmene del suo amore. Ma io ti dico che Dio continua ad amarti e ad avvolgere la tua vita della sua gloria, del suo amore tenace, rispettoso e affettuoso e geloso insieme.
La gloria di Dio riempie la terra perché Dio non è lontano da nessuno e la gloria di Dio avvolge di luce ogni essere vivente, come avvolse di luce i pastori nella notte di Natale (e la gloria del Signore li avvolse di luce: Lc 2,9).
La gloria di Dio è l’amore che si rivela e che rende possibile l’impresa inaudita, la trasfigurazione impensata, l’evento sorprendente. La gloria di Dio conduce là dove nessuno avrebbe potuto pensare di arrivare, là dove nessuna audacia di pensiero umano ha potuto spingere lo sguardo.
Infatti la gloria di Dio è l’amore che rende addirittura capaci di amare!
Ogni uomo, ogni donna avvolti della gloria di Dio diventano capaci di amare, possono praticare il comandamento di Gesù: amatevi! Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 14,34).
Ogni uomo, ogni donna è reso capace di amare come Gesù ha amato, è reso partecipe della vita di Dio e della sua gloria. In ogni luogo della terra, in ogni tempo della storia, oggi, dappertutto, in qualsiasi desolazione, in qualsiasi evento tragico, in qualsiasi tribolazione Dio continua ad amare e a rendere ogni uomo e ogni donna capace di amare.
Non parlate troppo male dell’uomo, di nessun figlio d’uomo: la gloria di Dio avvolge la vita di ciascuno e lo rende capace di amare.
Non disprezzate troppo voi stessi: Dio vi rende capaci di amare, di vivere all’altezza della dignità di figli di Dio, vivi della vita di Dio. La gloria del Signore vi avvolge di luce.
Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro: Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione ad amare, a partecipare della gloria di Dio.
Ecco, il mio messaggio, il mio invito, la mia proposta, l’annuncio che non posso tacere si riassume in poche parole: la gloria del Signore riempie la terra, Dio ama ciascuno e rende ciascuno capace di amare come Gesù.
Vi prego: lasciatevi avvolgere dalla gloria di Dio, lasciatevi amare, lasciatevi trasfigurare dalla gloria di Dio per diventare capaci di amare!
Omelia tenuta domenica 24 settembre 2017 dal nuovo arcivescovo di milano mons. Mario Delpini in occasione dell’inizio ufficiale del suo ministero.
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