venerdì 31 marzo 2017

HO SETE


Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. (Gv, 28-29)



Gesù disse: “Ho sete” (Gv 19, 28). È ben comprensibile che con queste parole Gesù alluda alla sete fisica, al grande tormento che fa parte della pena della crocifissione, come spiegano gli studiosi di queste materie.

Si può anche aggiungere che nel manifestare la sua sete Gesù ha dato prova di umiltà, esprimendo una elementare necessità fisica, come avrebbe fatto chiunque. Anche in questo Gesù si fa e si mostra solidale con tutti coloro che, viventi o morenti, sani o malati, piccoli o grandi, hanno bisogno e chiedono almeno un po’ d’acqua . . . (cf. Mt 10, 42). Per noi è bello pensare che ogni soccorso prestato a un morente, è prestato a Gesù crocifisso!

Ma non possiamo ignorare l’annotazione dell’evangelista, il quale scrive che Gesù uscì in tale espressione - “Ho sete” - “per adempiere la Scrittura” (Gv 19, 28). Anche in tali parole di Gesù vi è un’altra dimensione, oltre quella fisico-psicologica. Il riferimento è ancora al salmo 22 (21): “È arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto” (Sal 22 [21], 16). Anche nel salmo 69 (68), 22 si legge: “Quando avevo sete mi hanno dato aceto”.

venerdì 24 marzo 2017

DONNA, ECCO TUO FIGLIO. FIGLIO, ECCO LA TUA MADRE.


Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Gv 19, 25-27)

Il messaggio della croce comprende alcune parole supreme di amore, che Gesù rivolge a sua madre e al discepolo prediletto Giovanni, presenti al suo supplizio sul Calvario.

Ecco, san Giovanni nel suo Vangelo ricorda che “stava presso la croce di Gesù sua madre” (Gv 19, 25). Era la presenza di una donna - ormai vedova da anni, come tutto fa pensare - che stava per perdere anche suo figlio. Tutte le fibre del suo essere erano scosse da ciò che aveva visto nei giorni culminanti nella passione, da ciò che sentiva e presentiva, ora, accanto al patibolo. Come impedirle di soffrire e di piangere? La tradizione cristiana ha percepito la drammatica esperienza di quella donna piena di dignità e di decoro, ma col cuore affranto, e ha sostato a contemplarla con intima partecipazione al suo dolore: 
“Stabat mater dolorosa 
iuxta crucem lacrimosa 
dum pendebat filius”.

Gesù, che vede sua madre accanto alla croce, la ripensa sulla scia dei ricordi di Nazaret, di Cana, di Gerusalemme; forse rivive i momenti del transito di Giuseppe, e poi del suo distacco da lei, e della solitudine nella quale è vissuta negli ultimi anni, una solitudine che ora sta per accentuarsi. Maria, a sua volta, considera tutte le cose che per anni e anni “ha conservato nel suo cuore” (cf. Lc 2, 19. 51), e adesso più che mai le comprende in ordine alla croce. Il dolore e la fede si fondono nella sua anima. Ed ecco, ad un tratto s’avvede che dall’alto della croce Gesù la guarda e le parla.

“Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio»” (Gv 19, 26). È un atto di tenerezza e di pietà filiale. Gesù non vuole che sua madre resti sola. Al suo posto le lascia come figlio il discepolo che Maria conosce come il prediletto. Gesù affida così a Maria una nuova maternità, e le chiede di trattare Giovanni come suo figlio. Ma quella solennità dell’affidamento (“Donna, ecco il tuo figlio”), quel suo collocarsi al cuore stesso del dramma della croce, quella sobrietà ed essenzialità di parole che si direbbero proprie di una formula quasi sacramentale, fanno pensare che, al di sopra delle relazioni familiari, il fatto vada considerato nella prospettiva dell’opera della salvezza, dove la donna-Maria è stata impegnata col Figlio dell’uomo nella missione redentrice. A conclusione di quell’opera, Gesù chiede a Maria di accettare definitivamente l’offerta che egli fa di se stesso quale vittima di espiazione, considerando ormai Giovanni come suo figlio. È a prezzo del suo sacrificio materno che essa riceve quella nuova maternità.

venerdì 17 marzo 2017

OGGI TU SARAI CON ME IN PARADISO

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso». (Lc 23, 39-43)

Dice Gesù a un malfattore crocifisso con lui: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43). È un fatto impressionante, nel quale vediamo in azione tutte le dimensioni dell’opera salvifica, che si concretizza nel perdono. Quel malfattore aveva riconosciuto la sua colpevolezza, ammonendo il suo complice e compagno di supplizio, che scherniva Gesù: “Noi siamo in croce giustamente, perché riceviamo la giusta pena per le nostre azioni”; e aveva chiesto a Gesù di poter partecipare al regno, da lui annunciato: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23, 42). Egli trovava ingiusta la condanna di Gesù: “Non ha fatto niente di male”. Non condivideva quindi le imprecazioni del suo compagno di pena (“Salva te stesso,e noi” [Lc 23, 39]), e degli altri che, come i capi del popolo, dicevano: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23, 35), né gli insulti dei soldati: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso” (Lc 23, 37).

Il malfattore pertanto, chiedendo a Gesù di ricordarsi di lui, professa la sua fede nel Redentore; nel momento di morire, non solo accetta la sua morte come giusta pena del male compiuto, ma si rivolge a Gesù per dirgli che ripone in lui tutta la sua speranza.

venerdì 10 marzo 2017

PADRE, PERDONA LORO PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO


Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. (Lc 23,33-38)


La prima scoperta che facciamo rileggendo le parole che Gesù pronunciò sulla croce, è che si trova in esse un messaggio di perdono. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34): secondo la narrazione di Luca, questa è la prima parola pronunciata da Gesù sulla croce. 

Chiediamoci subito: 
non è forse la parola che avevamo bisogno di sentir pronunciare su di noi?
Questo blog non costituisce una testata giornalistica. Non ha carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità dei materiali. Pertanto non può essere considerato in alcun modo un prodotto editoriale ai sensi della Legge n.62 del 2001.